16/07/2016
WINE
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SOSTENIBILITÀ VUOL DIRE “PIÙ SCIENZA, NON MENO”: A 4 ANNI DALLA NASCITA IL “WINE RESEARCH TEAM”, IDEATO DA RICCARDO COTARELLA E SOSTENUTO DA 35 AZIENDE ASSOCIATE, PRESENTA LE SUE RICERCHE, TRA GENOME EDITING, VITICOLTURA DI PRECISIONE E BIOMIMETICA
“Sostenibilità” è un termine che di questi tempi si porta molto, non solo nel mondo del vino italiano: e anche se la necessità di cambiare paradigma produttivo è indubbia, in termini di consumo di risorse naturali e di esternalità negative connesse alle attività agricole dell’uomo, spesso il termine assume i connotati di una vulgata nella quale definire un prodotto agroalimentare come “sostenibile” implica un rifiuto quasi automatico delle tecniche garantite dal progresso scientifico, quando non le caratteristiche di una “buzzword” che si cerca solo per l’effetto di marketing che si spera che abbia sui mercati globali.
Al contrario, come dimostra l’attività del Wine Research Team (Wrt), il progetto di messa a sistema della ricerca in vigna con l’operato di un gruppo di aziende che ha ormai superato le trenta unità nato da un’idea dell’enologo Riccardo Cotarella nel 2012 – e che include anche cantine straniere – per rendere davvero sostenibile la viticoltura del domani la scienza, la ricerca e le tecniche innovative che ne nascono non sono solo utili, ma necessarie.
Al punto che alcuni dei membri di punta del team scientifico, insieme ai rappresentanti delle aziende associate, hanno creato il “Wine Research Team International Forum” n. 1, di scena oggi a Villa Sandi, il cui patron Giancarlo Moretti Polegato ha creduto nel progetto dalla sua creazione: “come famiglia – ha detto in apertura dei lavori – siamo sempre stati aperti a tutte le innovazioni. E lo dimostra la storia imprenditoriale di successi mondiale di mio fratello Mario con la Geox. Siamo soci fondatori di Wine Research Team (Wrt) e Riccardo Cotarella ha saputo mettere assieme le imprese e gli obiettivi. I risultati della nostra ricerca scientifica non resteranno patrimonio esclusivo di Wrt, ma li condivideremo con il mondo del vino”. Allo scopo di divulgare quanto più possibile le potenzialità di nuovi modi di coniugare tradizione e innovazione, non solo per affrontare le sfide dei cambiamenti climatici e delle malattie della vite, ma anche per creare valore aggiunto per l’intero sistema del vino made in Italy. Un approccio che nella sua pur breve storia, e in forma per ora sperimentale, è già stato capace di creare vini senza l’uso di solfiti senza per questo mettere in discussione le loro caratteristiche qualitative e organolettiche, e che, tramite l’uso di ossigeno attivato in forma di ozono, ha permesso di gestire senza chimica la difesa da alcune delle patologie della vite.
Il nucleo fondante del Wine Research Team, che ha ufficialmente visto la luce come associazione di rete nel 2014, era composto da 18 aziende, come ha ricordato in apertura dei lavori il presidente del Comitato Scientifico Wine Research Team (Wrt) Vincenzo Tassinari: “aderirono su basi “volontaristiche”, e all’inizio i mezzi scarseggiavano, al punto che il notaio ci prestò i soldi per l’atto costitutivo, ma “nei due anni di attività abbiamo ottenuto molto spazio e la stessa nostra presenza ad Expo Milano 2015 è stata la testimonianza della validità della nostra rete di 35 imprese” (cui si sono appena associate un’azienda francese, la Chateaux Frusseille, e una giapponese, la Camel Pharma). ”Le sfide, fin dall’inizio, apparvero subito essere due: il prodotto e il mercato, in un panorama – ha proseguito – nel quale i consumatori dettano legge, specie se sono informati ed esigenti, e si stanno informando sempre di più. Vogliono garanzie di qualità e di innovazione, e per dargliele occorre fare sperimentazione. E, a sua volta, la sperimentazione si può compiere solo se si ha massa critica, e si può divulgare solo tramite la comunicazione. Wrt permette di sviluppare una alleanza scienza, ricerca, produttori che parte dalla nostra produzione affinché essa sia sempre più sostenibile, fatta con le migliori pratiche grazie a sperimentazioni che da soli non avremmo potuto fare”
Riccardo Cotarella, direttore del Comitato Scientifico dalla sua nascita del Wine Research Team – e che attualmente ricopre le cariche di Presidente sia di Assoenologi che dell’Union International des Oenologues – ha, invece, aperto il suo intervento puntualizzando che il progetto è nato per contrastare “l’invasione di imbroglioni e persone senza preparazione che predicavano “naturalismo coatto”. E alcuni produttori davano loro retta, con risultati disastrosi – che, però, si vedevano nei vigneti dopo uno o due anni. Il Wrt è nato per dare innovazione vera e creare sostenibilità vera, e con la ricerca che è a carico delle aziende: aziende di ogni dimensione, dalle piccole alle cooperative. Oggi – ha concluso – anche aziende estere sono a conoscenza delle nostre attività”.
Attività tra le quali Cotarella ha citato le sperimentazioni che Wine Research Team (Wrt) sta portando avanti, come quelle sugli induttori di resistenza per abbassare di almeno la metà i trattamenti chimici, gli interventi sui portinnesti che consentano di superare delle criticità, come la siccità e il calcare, la creazione di vitigni e cultivar resistenti alle malattie, il superamento di prodotti chimici che con il passare degli anni non saranno più efficaci, le nuove tecniche di appassimento e la piattaforma di raccolta dati su tutti i lavori del team.
La parola è poi passata ad Attilio Scienza, docente all’Università di Milano e uno dei massimi esperti di viticoltura, che ha ben descritto lo stato delle cose per quanto riguarda alcuni dei progetti in corso e dei loro risultati, ma non senza prima ricordare che “sostenere, dal punto di vista etimologico, vuol dire prolungare nel tempo, e per farlo nella vitivinicoltura ci vuole conoscenza. Solo questo può garantire valore a questa parola”. Un altro termine primario, ha proseguito, “è resilienza, ovvero la capacità di un materiale di tornare in condizioni ideali, o a quelle iniziali, dopo essere stato sottoposto a uno stress. E per essere resiliente, la vitivinicoltura dovrà usare le risorse naturali interne ad un vigneto, non quelle esterne” – alludendo con questo ultimo termine anche all’uso di fitosanitari e di sostanze chimiche a sostegno della composizione di un terreno, un fattore primario in vitivinicoltura. Ma che alla luce delle tecniche di analisi consentite dalle nuove tecnologie, spesso al contempo meno invasive e più informative, assume un profilo ancora più centrale. “È il punto di partenza: il suolo è trascurato, e va invece curato e rispettato, perché è una ricchezza dal punto di vista della continuità di un vigneto. È la cosa più complessa che ci sia, specialmente la sua componente organica, che è naturalmente in equilibrio.
La chiave”, ha proseguito, “è mantenerlo, inclusa la catena alimentare che ospita, perché se non lo si fa si perde materia organica, e questo è un processo almeno ventennale e pericolosissimo, poiché la biodiversità è il “termometro” della salute e dell’efficienza di un ambiente. La si deve mantenere e la si può aumentare, e questo è importante per i vini. Quindi le aziende, da questo punto di vista, devono potersi autovalutare” – ovvero dotarsi dei mezzi necessari per poter controllare periodicamente la componente organica dei propri terreni. Ma il terreno, ovviamente, è importante anche per quello che ospita, ovvero le radici della vite: radici che “sono il cervello della pianta, mandano segnali al resto dell’organismo, e l’agronomia per molto tempo non aveva modo di esaminarne il comportamento, era esterna. Ora non più”ha puntualizzato prima di mostrare i risultati ottenuti dall’analisi dei palchi radicali di alcune varietà, che in genere beneficiano molto dall’averne due – il primo, più superficiale, per le sostanze nutritive, e il secondo, più profondo, per l’approvvigionamento di acqua.
Altro punto importantissimo della ricerca Wrt sono poi i portinnesti, “con gli ultimi che risalgono ai tempi di quando arrivò la fillossera, alla fine dell’Ottocento. Ora invece ne stanno arrivando di nuovi per le varietà resistenti”, ha dichiarato. “E i margini di progresso sono enormi: prevediamo di sviluppare un milione di talee da quattro portinnesti nei prossimi quattro anni, che venderemo per autofinanziare la ricerca”. Entro il 2017, ha poi detto Scienza, partirà un nuovo progetto di ricerca, con 15 aziende che parteciperanno alla sperimentazione di nuovi portinnesti su 13 vitigni diversi.
Il professore Scienza ha poi proseguito il suo intervento con la definizione di un concetto che è forse il più importante, al momento, in tema di sperimentazione scientifica per la sostenibilità in vigna, ovvero quello di viticoltura di precisione; un concetto che implica la raccolta di una mole di dati multidimensionali relativi ad un vigneto, e che comprendono le diverse caratteristiche delle sue sottoaree, in modo da poter zonare consapevolmente, applicando le tecniche di analisi dei big data per poter poi applicare la mano dell’uomo in maniera più ragionata e consapevole.
Come spesso accade, un’immagine vale più di mille parole, e per questa parte del suo intervento il Professor Scienza si è soffermato sulle analisi visive di alcuni vigneti, ottenute tramite l’incrocio di dati cartografici Gis e Gps con visualizzazioni spettrografiche e panoramiche aeree ottenute con l’utilizzo di droni. Il risultato ultimo di questa messe è una “banca dati”, non solo visuale, che permette di identificare con precisione, ad esempio, le aree più fertili di un vigneto, o quelle dove la produzione di zuccheri o la concentrazione di antociani sono in uno stadio più (o meno) avanzato.
Una banca dati a propria volta creata con l’uso di sensori wireless inseriti nei vigneti, che svolgono un’opera continua di monitoraggio inserendo quanto rilevato in dei database consultabili in tempo reale, tramite app per tablet e cellulari o via Internet. “Questo – ha sottolineato Scienza – ci permette di applicare le tecniche a tasso variabile: per farlo bisogna conoscere, perché conoscere, avere i dati, è fondamentale per gestire un vigneto tramite gli strumenti di cui si dispone”.
Ultimo, ma non ultimo, il concetto di biomimetica, vale a dire l’uso dei geni sviluppati dalle piante stesse nel corso del proprio cammino evolutivo e il loro inserimento nel Dna di altre varietà. Una modificazione genetica, se si vuole – o per meglio dire un’applicazione della tecnica del genome editing – ma che rimane completamente nell’ambito della medesima specie vegetale, e che non è altro che l’aggiunta di geni nati dentro la vite (e per aiutare la vite a prosperare) a varietà che semplicemente non li hanno sviluppati in proprio come risposta ai mutamenti ambientali che ora si trovano a dover affrontare. Dopo Scienza ha preso la parola anche Fabio Mencarelli, docente di enologia all’Università di Viterbo, e tra le sperimentazioni fatte e in corso da parte di Wine Research Team-Wrt si è soffermato in particolare su due: “una riguarda i vitigni dell’Amarone, la defoliazione in campo e l’appassimento differenziato. L’altra”, ha poi spiegato, “è in corso in vitigni di diverse aziende e concerne la gestione della temperatura della macerazione delle uve dopo la raccolta e prima della vinificazione. Di esse avremo i primi risultati in ottobre”.
In sala molti dei protagonisti aziendali del progetto Wine Research Team-Wrt, tra cui anche il “vigneto” Massimo D’Alema, con la sua La Madeleine, che ha affermato che “partecipiamo agli esperimenti per la produzione di vini senza solfiti con risultati molto soddisfacenti, in termini di gradevolezza e di facile bevibilità. Per questo seguiamo con interesse le novità orientate alla riduzione dell’uso della chimica in vigna per ottenere prodotti di qualità tutelando maggiormente l’ambiente e la salute dei consumatori. Insomma, in Wrt ci sono molte idee su cui lavorare concretamente per una migliore gestione delle nostre aziende e produrre un vino che sia ancora un elemento culturale”, ha detto l’ex premier. Sandro Boscaini, presidente Federvini, ha invece sostenuto che “il progetto Wine Research Team è molto positivo e da seguire con enorme attenzione. Abbiamo bisogno di vendere le emozioni che vengono dalla terra e dagli uomini appassionati produttori di vino. Ma questo da solo non basta. Il mondo del vino deve, infatti, essere aggiornato anche secondo le indicazioni di scienza e ricerca per fare davvero l’interesse dei nostri viticoltori e dei consumatori”.
In ultima analisi, le ricerche concluse e in corso presentate oggi a Villa Sandi nel Forum sono una efficace dimostrazione pratica del fatto che la sostenibilità – quella vera, non ideologica e preconcetta, ma ragionata, che parte dai dati di fatto ed è validata dai risultati – non potrà che passare, nelle parole dell’enologo Riccardo Cotarella, dall’uso di “più scienza, e non meno”. Perché è la scienza che permette un minore uso di conservanti, di pesticidi, di chimica, di fertilizzanti, di acqua, di suolo e di risorse energetiche, per ottenere vini ancora più performanti sia dal punto di vista della qualità che, prevedibilmente, da quello commerciale.